mercoledì 6 maggio 2020

SANTO MINESSI - Om Iveco - Brescia

Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Memorie in tuta blu. Gli anni caldi dei metalmeccanici bresciani”, di Costantino Corbari, Edizioni Lavoro, Roma 2005

Sono nato il 20 agosto del 1933 a Brescia. Ho iniziato a lavorare in nero come garzone da un calzolaio. Ho fatto lo “stufista”, come “piccolo”, andavamo a impiantare e a pulire le stufe Becchi di terracotta, poi le cucine economiche che andavano a legna e avevano il forno di terracotta. Noi andavamo a ripararle e a pulire i camini. L’ho fatto per anno, nel 1947. E’ stato in quel periodo che andando all’oratorio della Pace ad aggiustare le stufe ho conosciuto gli operai dell’Om che andavano a scuola. Nel 47, 48, infatti, l’Om era in crisi ed è stata inventata la “scuola  di riconversione” per non licenziare e hanno fatto dei corsi all’oratorio della Pace e alla Pavoniana dove c’erano delle aule. Non la chiamavano cassa integrazione, gli operai timbravano il cartellino, facevano la presenza, ma era qualcosa di simile.

Dopo quella prima esperienza ho fatto il lattoniere e l’idraulico, sempre come aiutante. Costruivamo i bidoni dell’immondizia, i canali da mettere sui tetti, le converse. Andavamo in giro a fare impianti sanitari. Poi nel 1950 sono entrato nella scuola apprendisti della Om, che era nata su proposta dei sindacati bresciani. Siamo entrati in 60, suddivisi in due corsi da 30. Si faceva mezza giornata di aula e mezza in officina e i due gruppi si alternavano. Io sono entrato perché un cugino di mio papà lavorava all’ufficio di collocamento e mi ha inserito tra gli allievi.
Il giorno in cui mi hanno chiamato per iniziare il corso avevo la febbre, ma ho dovuto farmela passare. Quando sono arrivato mi hanno detto di correre perché ero l’ultimo. Forse volevano solo prendermi in giro e vedermi correre. Sono entrato in una palazzina che ora non c’è più facendo tutto il percorso di corsa, perché avevo paura di non arrivare in tempo. Entrare in Om era come toccare il cielo con un dito. Non solo per me, ma per tutti. Avevo 17 anni.

Quando Om è diventata Iveco la situazione in azienda non è cambiata, anche perché Om era già Fiat e diventare Iveco è stata solo una riorganizzazione del settore veicoli pesanti che sono stati riuniti nel nuovo gruppo. Beccaria era il direttore della Om ed è diventato direttore generale di Iveco.  Quando la Fiat ha comperato l’Om l’ha rilanciata con la produzione del “leoncino”.

A quel tempo giocavo a calcio la sera, quando uscivo dal lavoro. Giocavo con la tuta di lavoro e all’oratorio mi chiamavano Om. C’era una certa invidia nei miei confronti, perché entrare all’Om era come essere diventato un dipendente statale. Il lavoro era sicuro e si era pagati bene.
Ho frequentato la scuola per 8 o 9 mesi. Si andava in un capannone fuori dall’azienda dove avevano allestito un’officina con i banchi di lavoro, le frese, i torni. Non si faceva produzione di serie, ma si imparava a usare tutte le macchine. Mentre per le lezioni di teoria si andava alla Pavoniana, dove c’era un’aula a nostra disposizione. Si facevano quattro ore, si studiava tecnologia, disegno, italiano, chimica. Io avevo fatto la quinta elementare e poi avevo frequentato la Moretto, quattro ore la domenica mattina, perché gli altri giorni lavoravo dalle sette del mattino fino alle sette di sera. Ho frequentato la scuola di domenica per tre anni e ho preso la prima qualifica. Alla sera partecipavo alle adunanze dell’Azione Cattolica, andavo al coro della parrocchia, c’erano le commedie e molte altre attività.
Durante il corso alla Om, prima che finisse chiamavano qualcuno e lo inserivano in fabbrica e così è toccato anche a me. Alla fine comunque furono tutti assunti. Sono andato a lavorare nel reparto dove si costruivano le pompe a iniezione del leoncino. Un bel reparto, sono entrato come fresatore e sono stato affiancato a un bravo operaio che faceva diverse mansioni e così ho imparato a lavorare anche su altre macchine e mi sono trovato bene. Per qualche anno sono rimasto lì. La Om costruiva iniettori su licenza della svizzera Sauber, poi la produzione è passata alla Bosch. Allora sono passato a lavorare dove si costruivano le teste, poi le bielle, e in altre aree, sempre sulle macchine. Ho lavorato un po’ dappertutto. Sono stato anche in montaggio dei motori, in catena, per un anno. Ho lavorato alle riparazioni dei camion che si rompevano in garanzia, oppure subivano una modifica perché c’era qualcosa che non andava bene e i camion che erano usciti venivano richiamati.

Nel 1956 hanno cominciato a licenziare i comunisti a Torino con Valletta, mentre Scelba che era ministro dell’Interno li estrometteva dagli uffici statali. Coloro che non se ne andavano da soli venivano trasferiti a Lecce costringendoli a licenziarsi.  
A Brescia il Beccaria non voleva licenziarli, ma doveva fare qualcosa anche lui. Allora ha creato un reparto cattivi, il reparto confino dove facevano i pezzi di ricambio che erano ormai fuori serie. Ci  sono finito anch’io anche se ero della Cisl. L’unico. E molti dei miei compagni di reparto mi dicevano che ero una spia. Mi ci hanno trasferito perché sul giornale della Fim avevo scritto un articolo contro il mio capo. L’ho incontrato un mese fa che è venuto a sentire le mie poesie.
L’avevo scritto perché aveva dei modi un po’ bruschi, era giovane, aveva un paio d’anni più di me. Titolava: Lo sai che i papaveri sono alti alti … L’articolo era anonimo, ma c’è stato chi ha fatto il
mio nome e così sono finito nel reparto dei cattivi. Sono rimasto lì per una decina d’anni, in mezzo ai comunisti, i duri, però mi sono fatto ben volere. Il loro leader era Carlo Bassani. Si lavorava a cottimo e avevamo un tempo assegnato per fare un pezzo e quando non si è pratici non è facile fare il cottimo, io le prime volte facevo fatica, ma Bassani è venuto da me con un atteggiamento di comprensione.

La Fim aveva accettato il premio antisciopero. "Non era sindacato giallo, ma un po’ canarino sì". Perché c’era la guerra fredda in tutti gli ambiti. In fabbrica ci chiamavano i “culi bianchi”. Cislini era usato in senso dispregiativo. Si discuteva accanitamente, ma me la cavavo. Il premio antisciopero era nato per scoraggiare l'adesione agli scioperi di fabbrica. Per farcelo accettare i leader della Cisl ci avevano detto che invece gli scioperi nazionali o provinciali avremmo dovuto farli. Il premio era semestrale ed era di 20mila lire.
Nel ’58 era stato programmato uno sciopero provinciale per l’occupazione, perché c’erano diversi licenziamenti, anche se non alla Fiat e non all’Om. L’idea di partecipare allo sciopero alla Om era nata nella sas della Fim, perché anche la Fiom non aveva proclamato lo sciopero in fabbrica. I leader della Fim si sono incontrati con i dirigenti della Fiom e hanno deciso di fare lo sciopero anche alla Om. La Om, che doveva pagare il premio antisciopero ai primi di dicembre, continuava a ritardarne la distribuzione aspettando il giorno dello sciopero che è stato il 14 di dicembre. Lo sciopero lo abbiamo fatto, ma eravamo in 22 e di questi 18 erano della Fim e della Fiom, che aveva otto commissari su dodici, hanno scioperato in quattro. Era uno sciopero di due ore a fine turno e i commissari della Fiom si sono fatti cambiare il turno o hanno trovato delle scuse per non partecipare. Uno è andato all’Avis.
Quello sciopero non riuscito ha comunque rappresentato una svolta. Per la prima volta venne stampato un volantino unitario. Fare un volantino con La Fiom, con i comunisti, era un fatto talmente grave che sono intervenuti il vescovo, padre Marcolini, don Agazzi, che era l’assistente delle Acli. Le Acli, di cui era presidente Capra, che lavorava in Om, erano con noi. Landi era delegato giovanile dell'associazione. Gran parte del mondo cattolico però era contrario. Sono state vicende che ci hanno forgiato.

Il reparto cattivi si chiamava “fuoriserie”. Lì ho incontrato di nuovo l’operaio che era stato il mio maestro appena entrato in fabbrica (Ugo Zappa), anche lui della Fim. Lavorava all’alesatrice, una macchina complessa, che dava soddisfazione. Lui non era lì per ragioni politiche. Quello era il suo reparto da sempre che poi era stato potenziato con l’arrivo dei comunisti. Ho lavorato un po’ con lui, era un bel lavoro anche se difficile. Si dovevano fare i conti con la trigonometria. Era bello e mi ha consentito di applicare alcune regole che avevo imparato a scuola.
Nel '59, '60 c’è stato il boom dell’Om e hanno assunto quasi duemila persone e tutti i reparti sono stati potenziati, anche il fuoriserie. La Fim aveva un giornaletto e in quel reparto Zappa ne vendeva una decina, poi ho preso io l’incarico e nel giro di qualche mese sono arrivato a venderne sessanta. Io comperavo quella della Fiom e andavo a vendere il mio anche a loro. Quando sono entrati i nuovi operai io ho fatto man bassa di tessere. Sono riuscito a farne una cinquantina. Nel '64, '65 il reparto confino non interessava più, la Fiat si stava riorganizzando meglio e quel reparto fuori serie venne smantellato. Io sono finito ai compressori. Applicavamo un sovralimentatore a tutti i camion, ma è stata una modifica che non ha avuto molto successo. C’era un compressore che veniva applicato e si usava quando serviva più potenza al motore. Era composto da due rotori che comprimevano l’aria e quindi lo scoppio era più forte e, quando serviva, si poteva aumentare la potenza o la velocità. Se ne facevano di diverse dimensioni perché si costruivano, oltre al “Leoncino”, l'“Orione”, il “Super Orione”, il “Taurus”. Al montaggio eravamo in cinque o sei chiusi in una gabbia di vetro, isolata perché si doveva sentire il rumore che faceva il compressore senza essere disturbati. Era un bel lavoro, delicato, di soddisfazione, ma dove sono passato io le produzioni non hanno mai avuto grande successo. Quella produzione è stata presto abbandonata e sono finito al reparto Auto A, ai basamenti, alle teste. Ho lavorato anche agli ingranaggi.
Poi hanno fatto il reparto ponti e assali e negli anni ’70 mi ci hanno mandato. Facevo un po’ il jolly. Ho lavorato lì per dodici, tredici anni fino al 1985.

Mi sono formato nell’oratorio di Lurago Mella dove ho incontrato Vittorio Gasparini, il vecchio Gasparini che lavorava in Om, era un po’ lo scomunicato del mondo cattolico, e con lui abbiamo fatto delle belle lotte con i preti della parrocchia, era impegnato nelle Acli. E' stato lui che mi ha sollecitato ad impegnarmi anche in fabbrica. Io comunque sono entrato in Om con già in tasca la tessera della Cisl.
Questo perché mio padre, che lavorava in una distilleria, faceva un po’ da referente sindacale. Ci lavoravano venti persone. La sera facevano le riunioni sindacali e a volte mi prendeva con sé e mi portava nella sede della Cisl in Corso Matteotti e quando mi hanno assunto alla Om mi ha fatto la tessera del sindacato, ancora prima che iniziassi a lavorare. Quando sono entrato in fabbrica sono stato avvicinato da un operaio che poi è diventato della Uilm, e mi ha chiesto se facevo la tessera del sindacato. Prima era venuto uno della Fiom e alla fine è arrivato il rappresentante della Fim. A tutti ho detto che io la tessera ce l’avevo già. Quello della Cisl lo ha detto immediatamente a Manenti, che faceva il collettore in fabbrica e tutti i mesi passava ritirare la quota. Ho fatto anch’io il collettore, mi ricordo che le ultime volte la quota era di 500 lire. Ma andare tutti i mesi a chiedere i soldi alla gente era dura e poi dovevamo portare i soldi in sede provinciale dove c’era Castrezzati che tirava la cinghia. Dopo qualche tempo che ero in fabbrica – nel '52, '53 - ho cominciato a frequentare le riunioni del nucleo della Cisl. Ci si trovava fuori dall’orario di lavoro alla Pavoniana. La prima volta che ho preso la parola lavoravo al montaggio motori e sono intervenuto perché avevano sospeso alcuni lavoratori. Erano stati sbagliati dei filetti dei perni che bloccano la testa nel basamento ed era nata una grana non da poco perché si doveva buttare il basamento. Ma l’attivista vero e proprio ho iniziato a farlo quando sono andato nel reparto dei cattivi.
In quel periodo i leader della Fim erano Landi e Gasparini. Sono stato eletto in commissione interna e ci sono stato tre anni e ho partecipato alla gestione del contratto nazionale del '66, sono uscito nel 67. Quando i consigli di fabbrica hanno sostituito la commissione interna non sono stato eletto delegato. C’era un delegato della Fim che era contrario all’unità sindacale, mentre io ero favorevole e allora lo hanno fatto dimettere e sono subentrato al suo posto e da allora sono sempre stato rieletto fino a quando sono andato in pensione.
Sono stato componente dell’esecutivo del cdf. I delegati alla Om erano un centinaio, forse più. In quel periodo eravamo quasi seimila lavoratori. Sono stato nel direttivo provinciale della Fim e per quattro anni nel direttivo nazionale, poi sono caduto in disgrazia perché ci siamo messi contro Castrezzati.

Nel congresso di Manerbio del ’77 eravamo sicuri di perdere perché avevamo contro tutto l’apparato, ma siccome c’era la regola per la quale toccava qualcosa anche alla minoranza ci siamo dati da fare ma è andata male. Io ho vissuto quella vicenda da tifoso. Il vero leader era Landi, anche se lui non ha mai avuto incarichi particolari. Quando è diventato segretario cittadino della Dc avrebbe potuto, e qualcuno certamente ha tentato di spingerlo, ma lui ha fatto altre scelte. Eppure noi alla Om abbiamo eletto parlamentari come Capra e Rossignoli, un operaio.
Nel '69 abbiamo fatto il contratto dell’autunno caldo e dopo abbiamo raccolto 2300 tessere Fim all’Om e la Fiom 1100, la metà. La Fiom non sapeva più cosa fare. Venivano in fabbrica la sera di nascosto a distribuire volantini clandestini, contro la Fim, contro la Cisl, perché gli operai erano scappati di mano alla Fiom.
Invece con la Fim di Brescia non andavamo bene. I rapporti si sono rimessi a posto con il cambio della segreteria della Fim e l’arrivo di Marino Gamba.
La battaglia che abbiamo fatto dentro la Cisl l’ho vissuta come un momento di progresso, di conquista. Mi sembrava di camminare in un vicolo che però andava allargandosi e diventava un viale. Stavamo lottando a gomitate ma ero convinto che avremmo vinto noi, perché secondo me era l’unica via di uscita buona, che portava al miglioramento della condizione operaia. Perché l’unità dei lavoratori dava forza a tutti.
Castrezzati all’inizio ha fatto delle lotte portentose sull’unità sindacale, sull’autonomia, sull’incompatibilità. In quel periodo era Brescia contro il resto del mondo, poi con l’arrivo di Carniti ai metalmeccanici le nostre idee si sono differenziate. Io credevo nell’incompatibilità. Negli anni '60 sono diventato segretario della sezione della Dc del mio quartiere, villaggio Pavia, di Brescia ed ero nel direttivo provinciale. Avevamo 40 iscritti ed ho lasciato quegli incarichi, ma sono sempre stato iscritto alla Dc, anche Castrezzati era iscritto.
Ricordo di aver partecipato ad un corso di formazione sindacale nel '53, '54 e c’era Carniti che era un ragazzotto. E lui ci ha parlato dell’importanza di essere staccati dai partiti, di guardare ai programmi e non agli schieramenti e di avere la nostra autonomia e la capacità di fare proposte autonome e se i partiti fanno cose che non vanno bene avere la libertà di essere contro.
Su questi temi quando, Carniti è diventato segretario generale della Cisl e Castrezzati suo vice, hanno un po’ rallentato la loro spinta, mentre per noi della Om questo è sempre stato un punto centrale.

Autoconvocati. Forattini non aveva ancora iniziato a dipingere Craxi, che era presidente del consiglio, come un fascista, però noi lo vedevamo già così. Noi pensavamo che i comunisti fossero più sinceri, mentre abbiamo cominciato un po’ a odiare i socialisti, in fabbrica lavoravamo bene con i comunisti della Fiom

La rottura della Flm e il ritorno al tesseramento per sigla l’ho vissuto molto male perché è stato come tornare agli anni 50, forse anche peggio. La Fiom si era conquistata tutta l’organizzazione e dominava. Castrezzati negli anni dell’unità ci diceva di non preoccuparsi, tanto c’era una accordo sulla divisione delle deleghe. I lavoratori ci firmavano la delega in bianco e io una volta, in polemica con questa scelta, avevo scritto Uilm su tutte. Secondo me, dicevo, stiamo svendendo la Fim. Io ero favorevole all’unità sindacale, ma serviva un po’ di spirito d’organizzazione, noi dovevamo mantenere la nostra identità. Lui invece ci diceva che ormai queste cose non contavano più. Queste scelte e la polemica continua con la segreteria provinciale ci hanno fatto perdere pian piano il mordente.
Una volta abbiamo fatto un direttivo provinciale della Fim di Brescia al Centro studi della Cisl di Firenze ed era venuto anche Carniti. Ha fatto un intervento Landi per 5 minuti e Carniti ha parlato per un’ora per contrastarlo. Eravamo in continua polemica anche con la segreteria nazionale, ma dell’Om avevano paura. All’epoca delle prime battaglie negli anni cinquanta avevamo un gruppo di moderati in Om, che cercò di contrastare la nostra iniziativa. Quando invece entrammo in polemica con la segreteria Fim e poi con la vicenda degli autoconvocati eravamo compatti.

Sono sposato con tre figli e sei nipoti. Mia moglie ha sempre accettato il mio impegno, non mi ha mai detto non fare questo o quello, anche suo fratello, che lavorava alla Breda, quando ci siamo conosciuti è diventato un attivista ed è entrato nel direttivo provinciale. Mia moglie, però, ha sofferto, perché la qualifica io l’ho presa solo dopo 15 anni di Om a causa del mio impegno sindacale. Quando lavoravo all’alesatrice, che era un lavoro da operaio di 5° livello, io ero inquadrato come manovale specializzato. Non facevo straordinari, gli scioperi li facevo tutti. Negli anni ’60, quando non c’erano i permessi sindacali, si doveva andare al sindacato a prendere i volantini perché non c’erano molti operatori, si usciva con un permesso in bianco e a volte la Fim te lo pagava, ma era sempre meno di quello che si perdeva. L’Om, poi, faceva le trattenute per i permessi sulla tredicesima, per cui invece di prendere le 200 ore io ne prendevo 150, 160.
Nel 1968 mi sono fatto male ad una gamba sciando e sono rimasto a casa due mesi e mezzo e allora si prendeva il 50 per cento del salario e avevo già tre figli e il mutuo della casa da pagare. E’ stato un periodo duro. Mia moglie era a casa, faceva un po’ di lavoro a domicilio, era sarta, si arrangiava adattando i vestiti dei suoi fratelli per i figli e anche per me. Sono sempre andato in bicicletta fino al 1980, quando ha iniziato a lavorare il primo figlio.

Nell’organizzare picchettaggi davanti ai cancelli della Om non eravamo secondi alla Fiom. La Cisl è sempre stata presente in modo massiccio. C’erano quelli che volevano entrare e camminavano su e giù sui marciapiedi intorno all’ingresso. Allora ho preso delle scope e insieme ad altri siamo andati a scopare i marciapiedi per mandarli via.
Un’altra volta abbiamo fatto un fascio di erbacce e l’abbiamo messo davanti all’ingresso degli impiegati con un cartello con scritto “erba per i conigli”.
C’è stato un momento in cui nelle direzione di Om c’era un gruppetto di provocatori. Attorno all’Om c’era una ringhiera di ferro con sopra dei fili elettrici per l’allarme e per far entrare gli impiegati durante gli scioperi avevano fatto aprire dei cancelletti mimetizzati, ma gli operai dell’impresa che aveva fatto il lavoro ce lo hanno detto. Noi di notte siamo andati dove c’erano i cancelli e con dei chiodi abbiamo martellato sulle serrature in modo che non riuscissero più ad aprirle con le chiavi. Allora hanno messo dei lucchetti, ma noi siamo riusciti a bloccare anche quelli.
Nella Om non c’è stato nessun problema di violenza o di terrorismo. Una volta in fabbrica abbiamo trovato dei volantini delle Brigate rosse, e in un'altra occasione l’Om ha tentato di montare una vicenda dicendo che c’era stato un sabotaggio. Una domenica si era rotto un tubo dell’acqua di lubrificazione di una macchina e la direzione aveva fatto chiamare un fotografo e aveva parlato di sabotaggio, ma il tubo era marcio. Diceva che l’avevano tagliato gli operai. Poi furono trovate delle scritte fatte con delle bombolette sui muri della mensa, ma secondo noi le avevano fatte questi provocatori che stavano nella direzione. Hanno tentato di montare questi fatti con articoli sui giornali ma è finito tutto in niente.
Una ho avuto due giorni di sospensione da un caposquadra, che tra l’altro era stato mio compagno alla scuola per apprendisti. Era uno degli ultimi sabati in cui abbiamo lavorato. Si facevano due turni: il primo usciva alle 11,30 e il secondo faceva dalle 11,30 alle 5 di sera. Il sabato si usava smettere un po’ prima la produzione per pulire le macchine e mettere a posto il banco e gli attrezzi e quando si finiva si andava nello spogliatoio anche se l’orario non era ancora finito. Il caposquadra, che aveva cambiato turno e quindi non conosceva gli operai di cui era responsabile, era andato negli spogliatoi e aveva multato tutti coloro che erano già saliti a cambiarsi. Non solo, siccome c’era un’uscita diversa dall’entrata, aveva chiesto aiuto ad un altro caposquadra per bloccare le due porte e dare la multa a tutti. Un operaio è venuto a dirmi cosa stava succedendo. Allora ho chiamato quelli che erano ancora in reparto e gli ho proposto di aspettare il caposquadra quando sarebbe sceso dalla scala per applaudirlo in segno di scherno. Tutti d’accordo, mi sono diretto ai piedi della scala e quando l’ho visto scendere ho iniziato ad applaudire gridando: bravo. Dietro di me non c’era nessuno! In quella situazione, dopo un attimo di smarrimento, mi sono messo ad urlare: "vergognati, vuoi fare carriera facendo fare brutta figura ad un altro caposquadra. Altro che capo, sei un gestapo. Vergognati, vuoi diventare il ruffiano della Om". Lui non sapeva che cosa fare e diceva solo: vada via, vada via! Usava il lei anche se normalmente ci davamo del tu. Si allontani, la smetta. Alla fine mi ha dato due giorni di sospensione. Ma gli operai, che mi avevano lasciato solo, hanno fatto una colletta e mi hanno pagato i due giorni di sospensione.