Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Autonomia e contratti. Storie di sindacalisti della Cisl in Lombardia”, a cura di Guido Baglioni e Costantino Corbari, Edizioni Lavoro, Roma, 2006
Sono nato a Cremona il 9 novembre del 1924. Mio padre, Fortunato, lavorava in città, in un negozio di tessuti, come capocommesso; mia madre, Maria, si occupava delle faccende domestiche. Vengo da una famiglia molto cattolica, che non navigava nella ricchezza, ma viveva decorosamente. La nostra casa si trovava in centro, a pochi passi dal Torrazzo. Sono figlio unico. Ho trascorso tutta l’infanzia a Cremona, dove ho frequentato le elementari e, successivamente, le magistrali.
Con il mio bel titolo di studio in tasca, durante la guerra ho lavorato come maestro elementare. Andavo e tornavo tutti i giorni con la tradotta a Vailate, un paese del cremonese al confine con la provincia di Bergamo. Contemporaneamente tenevo lezioni private ad alcuni ragazzini del mio quartiere e facevo attività post-scolastica presso l’oratorio della parrocchia di San Pietro. Per raccogliere qualche soldo facevo anche il rappresentante di prodotti sportivi e accessori di biciclette per due ditte di Milano e di Torino. Il servizio militare l’ho svolto in città. Il primo, parziale, contatto con il sindacato l’ho avuto nel 1945, quando partecipai ad alcune riunioni organizzate alla Camera del lavoro per i maestri disoccupati. Allora eravamo circa in duecento. Gli incontri erano guidati da Angelo Formis, che a quei tempi rappresentava la corrente cristiana nella Cgil unitaria. Per vivere e dare una mano in famiglia, nel dopoguerra ho continuato a dare lezioni private e a fare il rappresentante, ma erano occupazioni precarie. Nel 1947 mi sono spostato. Ho avuto due figli. La svolta nella mia vita è datata 1948. Un giorno, in agosto, venni chiamato da monsignor Giglio Bonfatti, rettore del collegio Sfondrati, una scuola-convitto molto conosciuta a Cremona, che mi disse: <<Rizzini, so che sei senza un’attività fissa. C’è da mettere in piedi il sindacato in questa zona. Ti interessa? Saresti disposto a metterci mano?>>. Io lì per lì non seppi cosa rispondere, anche se l’idea mi piacque subito. Di sindacato non ne sapevo molto. Seguivo le vicende sindacali dall’esterno, sui giornali. Il tema mi interessava molto, ma non mi ero mai posto il problema di impegnarmi direttamente in questo contesto. Oltretutto ero appena stato chiamato a scuola, a Cremona, per un incarico annuale come maestro. Insomma, quella che dovevo prendere non era una decisione facile. Ci pensai su, mi consultai anche con un sacerdote – don Natale Mosconi, parroco a Sant’Abbondio, che poi sarebbe diventato vescovo di Comacchio -, e alla fine risposi con un si convinto ed entusiasta. Detto, fatto, dopo qualche giorno, ai primi di settembre, con in tasca una lettera di presentazione di monsignor Bonfatti, presi contatto proprio con Formis. Era un sabato, Formis lesse la lettera, mi fece qualche domanda e poi disse: <<Va bene, lunedì cominci>>. E così fu. Come credenziali, per consentirmi di muovermi più facilmente sul territorio, mi diede anche lui una lettera, che conservo ancora oggi. E’ intestata: “Ufficio di coordinamento e di assistenza sindacale Cremona” e dice: “Il sig. Rizzini Mirco di Cremona è stato da noi nominato Segretario dell’Ufficio di coordinamento e di assistenza sindacale per la zona di Cremona e ha l’incarico di costituire nei comuni della zona i nuovi sindacati autonomi. Compiaceteci riceverlo con tutta benevolenza ed accordargli gli aiuti del caso. Ringraziamo e porgiamo ossequi. La Segreteria”. In quel periodo c’era un grande trambusto, perché si stava costituendo la Libera Cgil, nata dalla scissione della corrente sindacale cristiana della Cgil unitaria. Allora avevamo una sede provvisoria presso il Circolo artistico Leonardo, una specie di associazione culturale costituita da un gruppo di benpensanti della città, ubicata in alcuni locali di Palazzo Fodri. Inizialmente era un semplice ufficio di coordinamento e di assistenza sindacale. Io seguivo da solo undici comuni intorno a Cremona: tutti i giorni giravo su e giù per le strade in bicicletta. In provincia erano quasi tutti lavoratori agricoli, mentre in città c’erano un po’ tutte le categorie: meccanici, telefonici, pubblici, chimici. Era un grande impegno. Oltre al normale lavoro di assistenza sindacale, battevo campagne, uffici e fabbriche per spiegare ai lavoratori iscritti alla Cgil unitaria le ragioni della scissione e convincerli ad aderire al nuovo sindacato. Per questa attività, soprattutto nelle zone agricole, mi appoggiavo molto sui preti. I parroci costituivano un punto di riferimento importante, una miniera di informazioni, perché nessuno come loro conosceva la gente del posto. Spesso erano loro a indicarmi le persone, i lavoratori, da contattare, le porte alle quali bussare.
La Libera Cgil
Una tappa importante nella nostra storia è stato il congresso che nel 1949 ha riunito tutti i liberi sindacati della provincia. L’appuntamento, molto partecipato, si tenne al teatro Filodrammatici di Cremona. C’ero io, c’era Formis e c’era Amos Zanibelli, che poi divenne parlamentare nella Democrazia cristiana e che era un fuoriuscito dalla Camera del lavoro. Il congresso si chiuse con la definizione di un organigramma provvisorio dell’organizzazione. Provvisorio perché si attendevano lumi e notizie da Pastore, da Roma, dove la situazione era in continua evoluzione. Io con Pastore ebbi un buon rapporto. Ricordo che già a quei tempi ci incontravamo periodicamente, circa una volta ogni due mesi, a Milano, in via Tadino. Parlavamo di tutto, di temi come l’autonomia del sindacato, la contrattazione decentrata. Tornando al congresso, il dibattito si chiuse con l’elezione di Formis a segretario generale della Libera Cgil, con l’accordo che gli sarebbe subentrato Zanibelli. Io divenni segretario organizzativo provinciale. Un ruolo piuttosto impegnativo, perché c’era un grosso lavoro di proselitismo e di informazione da fare sul territorio. In quel periodo nel cremonese promuovemmo numerosi convegni, incontri, dibattiti e vennero attivati diversi e proficui contatti con i dirigenti sindacali di altre province lombarde. Quello che si apriva era uno scenario nuovo e quindi era molto importante avere la possibilità di scambiarsi esperienze gli uni con gli altri. In contemporanea si consolidò un programma di formazione sindacale rivolto ai quadri e ai militanti. Mi ricordo che Mario Romani mi mandò un pacco di libri con dentro di tutto. Io facevo formazione anche a livello regionale. Allora i rapporti con i comunisti della ex Cgil unitaria non erano facili, ma noi non ci facevamo intimidire. Nel 1949, in occasione del Primo Maggio, tenemmo addirittura un comizio in piazza del Comune: una cosa non da poco visto quello che stava accadendo. Ad un certo punto nel 1950 Roma ci chiese un elenco di delegati da mandare nella capitale, in rappresentanza delle varie categorie presenti sul nostro territorio, per partecipare al congresso che avrebbe sancito la nascita della Cisl. I nominativi vennero scelti tra le persone più in vista, più impegnate. Io, però, non volli andarci. Mi sembrava di usurpare dei posti e poi preferivo rimanere “a casa”, a lavorare con la base. Per me il rapporto con la base, con i lavoratori, è sempre stato fondamentale. Io ho sempre girato moltissimo su e giù per la provincia. Andavo nelle cascine, nelle aziende agricole, fuori dalle fabbriche, nelle parrocchie. All’inizio mi muovevo in bicicletta, poi, poco dopo la nascita della Cisl, nel 1951 ci diedero due “Guzzini”. E viaggiare con la moto era tutta un’altra cosa. La Cisl venne costituita il Primo Maggio del 1950. A Cremona l’evento venne accolto con molto entusiasmo. Il nuovo sindacato trovò in città una struttura già piuttosto definita, radicata sul territorio e in espansione. In questo senso fu fondamentale il lavoro preparatorio che facemmo prima come sindacati autonomi e poi come Libera Cgil. Nel cremonese, per dire, avevamo già allora undici segretari di zona. Il primo congresso da “cislini” venne celebrato a Cremona nel 1952. Secondo gli accordi, fu eletto segretario generale Zanibelli – Formis andò a Roma a fare il segretario nazionale dei lavoratori agricoli -, mentre io divenni vicesegretario generale e segretario organizzativo. In segreteria c’era anche Renzo Maroli, che poi fu nominato segretario del circondario di Crema. Inizialmente rimanemmo a Palazzo Fodri, poi, nel 1951, la confederazione, tramite i sindacati americani, ci diede le risorse per acquistare una villetta in via Trento e Trieste, al civico 54, che divenne la nostra sede. Ogni zona aveva una sua sede, magari piccola e modesta, come a Casalmaggiore, ma ce l’aveva. A Crema eravamo ospiti in un edificio di proprietà della Provincia. Ripeto, in quei periodi i rapporti con la Cgil non erano facili: ci vedevano come il fumo negli occhi. Ci chiedevano cosa fossimo, tanti non riuscivano ancora a comprendere le ragioni della scissione. Per la verità, la componente socialista della Cgil guardava a noi con molto interesse. Erano incuriositi dal nostro modello di sindacato, fondato sul concetto di autonomia. Cercavano di capire, ma poi non osano mai farsi avanti perché chi comandava alla Camera del lavoro erano i comunisti. Io i socialisti li ho chiamati in causa spesso nei comizi, ma non c’era verso di schiodarli. Nei primi tempi, quando andavamo a parlare negli oratori o nei campi, i “compagni” venivano a rompere le scatole, ma poi smisero di fare anche quello. In realtà, tranne che in alcuni casi sporadici, il rispetto tra di noi non è mai mancato. Ognuno aveva le sue posizioni, ma i contrasti non hanno mai superato certi limiti. Il periodo iniziale dopo la nascita della Cisl è stato dedicato soprattutto alla definizione del quadro organizzativo interno e al proselitismo sul territorio. Avevamo bisogno di farci conoscere e di fare conoscere le nostre idee e proposte. Allora la realtà economica e sociale del cremonese era fortemente improntata sull’attività agricola. Se la gente non veniva da noi, eravamo noi ad andarla a cercare nei campi, nei luoghi di lavoro, a casa. A sostegno di quest’opera utilizzammo anche la stampa.
Attenzione alla comunicazione
Tra il 1949 e il 1950 fondammo un giornale che venne significativamente chiamato “Guardiamo avanti”. Era un quattordicinale che veniva inviato agli iscritti. Uno strumento informativo e di servizio di notevole importanza. Per metterlo in piedi ci diede una grossa mano don Lidio Passeri, un prete che faceva l’assistente per le Acli. Io avevo uno spirito abbastanza polemico, mi piaceva movimentare il dibattito e questo mi costò non so più quante denunce per diffamazione da parte dei “compagni”. Denunce poi sempre rientrate. Inoltre, cosa a quei tempi molto innovativa, inventammo una campagna pubblicitaria per i cinematografi: prima degli spettacoli venivano proiettati gli spot con lo slogan “Iscriviti alla Cisl”. Devo dire che funzionò. Il bisogno di comunicare con gli iscritti era per noi preminente. La mia storia sindacale ebbe un’accelerazione, in termini di responsabilità soprattutto, nel 1953, quando a seguito dell’elezione a parlamentare di Zanibelli, divenni segretario generale della Cisl di Cremona. Un incarico che ho mantenuto fino al 1974. Noi ci ponemmo, già allora, il problema dell’incompatibilità tra cariche politiche e partitiche e sindacali ancora prima della confederazione. A Cremona inserimmo una clausola specifica nello statuto, ma Roma ci fece un po’ la guerra, soprattutto a causa delle pressioni dei dirigenti del sud che non intendevano rinunciare alla possibilità di coprire contemporaneamente due posti. Eppure la questione era semplice: se uno fa il sindacalista e anche il deputato come può essere veramente autonomo? A quale disciplina deve sottostare? Nei primi anni da segretario generale dovetti affrontare alcune questioni spinose, tra cui quella del cosiddetto imponibile di manodopera, un sistema abbastanza complicato – al proposito non entro nei particolari - che serviva a calcolare una quota minima di occupazione obbligatoria che doveva essere assorbita dalle aziende….. Era il prefetto ad emettere il decreto che stabiliva la quota annuale. I datori di lavoro volevano abolirlo, perché desideravano avere le mani il più possibile libere; mentre noi lo difendevamo perché rappresentava una forma di garanzia occupazionale per i lavoratori. Devo dire che i proprietari agricoli hanno sempre recitato benissimo la parte dei martiri… Ad ogni modo, l’imponibile di manodopera resistette fino al 1957-1958, cioè fino al primo esodo dalle campagne. In quegli anni moltissimi giovani, attirati dal posto in fabbrica e dal miraggio di una vita più comoda, abbandonarono i campi per trasferirsi nei centri urbani, dove c’erano le industrie. Il cremonese non fu da meno, tanto che per la prima volta l’attività agricola vide vacillare il suo primato nell’ambito dell’economia provinciale. Il ’57 fu per la Cisl un anno importante anche perché fu l’anno della scomparsa di Formis. Con esso se ne andava una figura che aveva segnato in maniera indelebile la storia del sindacato, a Cremona, ma non solo. Per la commemorazione, che si tenne in piazza, chiamai don Primo Mazzolari che fece un discorso bellissimo. La bara era stata anche deposta in duomo. Nonostante il crescente peso dell’industria, nei miei anni alla guida della Cisl di Cremona sono stato fortemente impegnato sul fronte agricolo. Nel 1955 sono diventato segretario regionale con delega per il settore, incarico che ho ricoperto fino a quando ho lasciato l’attività sindacale. Allora il segretario generale era Paolo Sala. Ci vedevamo a Milano una volta alla settimana. Prima in via Tadino, poi in via San Gregorio, dove aveva sede la Cisl regionale. Non saprei dire a quante trattative ho partecipato per il rinnovo dei cosiddetti patti colonici, i contratti. Al tavolo con i datori di lavoro ci andavo sempre io, insieme al segretario della categoria e a una commissione di contadini. In tre occasioni li firmammo da soli, con la Uil e senza la Cgil. La voce della Cisl era molto rispettata e ascoltata anche dalle controparti. Il nostro peso contrattuale era notevole. Eravamo riconosciuti come interlocutori seri e preparati. Io prima di andare ad una trattativa mi preparavo bene. Studiavo a fondo le questioni sul tappeto. Mi informavo, raccoglievo dati e notizie, in modo da poter controbattere ad ogni obiezione e far valere le nostre idee e proposte. E’ nell’abilità al tavolo delle trattative che, a mio giudizio, si riconosce un buon sindacalista e in questo la Cisl è da sempre maestra. Ma per diventare buoni sindacalisti occorre anche fare molta formazione. La formazione è fondamentale. Sin dagli anni ’50 io ho battuto con decisione su questo tasto. A Cremona ne abbiamo fatta tanta. Organizzavamo moduli di tre giorni, finanziati dalla confederazione, dal venerdì alla domenica, rivolti a quadri e attivisti di tutti i settori: agricoltura, industria, pubblico impiego. Come ho detto prima, i rapporti con la Cgil sono stati generalmente improntati al massimo rispetto, ma talvolta la loro demagogia li conduceva su rotte che noi non potevamo e non volevamo seguire. Il tema dell’unità sindacale, ad esempio, a Cremona non ha mai fatto breccia. La Cgil era portatrice di una concezione ideologica e di una cultura sindacale molto diverse dalle nostre. Basta citare, tra quelle che più ci dividevano, la questione della contrattazione decentrata: per noi è sempre stata strategica, per loro è sempre stata una sorta di tabù. Tornando ai patti, tra i più importanti, segnalerei quello del 1953 con il quale istituimmo una cassa di assistenza sanitaria integrata per i lavoratori e le loro famiglie. A suo modo è stata un’iniziativa molto innovativa. Un altro tema che mi impegnò molto fu quello della casa. Nella metà degli anni ’50, grazie ad una legge firmata in Parlamento da Zanibelli e da Enrico Fogliazza, comunista ed ex segretario della Federbraccianti di Cremona, avviammo un intenso programma di costruzione di case coloniche, in gran parte finanziato dallo Stato. Abitazioni che i contadini potevano acquistare a prezzi e condizioni di favore. Nel cremonese ne sono state edificate in una quindicina di paesi. Negli anni ’60 l’attenzione si è, invece, concentrata molto sulla realtà industriale. In quei periodi abbiamo dovuto fronteggiare molte crisi aziendali, alcune delle quali si sono risolte negativamente con la chiusura di officine e stabilimenti. Le difficoltà non sono mai mancate, ma abbiamo cercato di affrontarle, ogni volta, con impegno e senso di responsabilità, tenendo sempre presente l’interesse superiore dei lavoratori. Abbiamo organizzato mobilitazioni, scioperi, picchetti e quant’altro fa parte dell’agire e della lotta sindacale. Una vertenza simbolo, che ci ha tenuto impegnati a lungo e che ha destato notevole interesse nell’opinione pubblica, è stata quella della Ceramiche Gosi. La Gosi era una fabbrica di Cremona, con oltre 250 dipendenti, che produceva piastrelle per i mosaici. Una realtà importante per una provincia come la nostra. In questo caso al centro della vertenza non vi era un problema di occupazione, ma di salute e sicurezza. Sotto accusa c’era, infatti, la lavorazione del silicio nel reparto presse; una lavorazione che, per i suoi effetti negativi, aveva provocato numerosi decessi tra gli operai. In media era emerso che bastavano quattro anni consecutivi di lavoro in quel reparto per ammalarsi gravemente. Il sindacato ingaggiò una battaglia durissima, che portò alla chiusura della fabbrica tra il 1969 e il 1970. La questione era molto delicata e dolorosa, perché chiudere una fabbrica significa perdere dei posti di lavoro, mettere in crisi delle famiglie….. ma la salute non ha prezzo. Ora non tocca a me giudicare il mio operato alla guida della Cisl cremonese. Quello che posso dire è che per quanto mi riguarda è stata un’esperienza straordinaria. Ho vissuto momenti belli e altri meno belli, ma nel complesso sono contento di quello che mi ha riservato la vita. Ho partecipato ad una grande avventura. Ho preso in mano l’organizzazione che aveva 4mila iscritti, l’ho lasciata nel 1974 quando erano diventati 24mila. Allora gli iscritti tra i pensionati erano solo 900, oggi mi pare che in generale questa categoria abbia un peso molto diverso. E’ un tema su cui riflettere. Ho lasciato perché ritenevo di avere compiuto ed esaurito il mio ciclo. Chiuso il mio rapporto con il sindacato sono andato a lavorare alla Regione Lombardia come direttore del centro di formazione professionale dell’ente a Cremona. Inoltre per tre anni ho avuto un incarico, come esperto, presso l’agenzia regionale per l’impiego, dipendente dal ministero del Lavoro, a Milano.