Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Memorie in tuta blu. Gli anni caldi dei metalmeccanici bresciani”, di Costantino Corbari, Edizioni Lavoro, Roma 2005
Sono nato a Brescia il
9.10.1942. La mia famiglia è di Calvisano, poi abbiamo traslocato a Bagnolo
Mella, a Ghedi, Carpenendolo e adesso abito a Montichiari. Ho fatto le cinque elementari. Ho cominciato
a lavorare a quattordici anni in un’azienda di Carpenedolo, ma ci sono stato
poco perché abitavo ancora a Bagnolo Mella e dovevo andare avanti e indietro e
sono parecchi chilometri. Poi ho lavorato un po’ da una mia zia, ma ci sono
stato solo per alcuni mesi, e sono andato a lavorare nei campi.
Nella prima fabbrica si
facevano i cerchioni delle ruote (dischi), ci siamo andati io e mio fratello e
lui è rimasto là. A Ghedi abitavo vicino all’aeroporto proprio accanto alla
pista, e nel ‘58 ho lavorato un po’ in un’officina meccanica, poi in un’altra
azienda vicino a casa dove ho fatto quattro mesi come garzone.
Quando la mia famiglia si è
trasferita a Carpenedolo sono andato a lavorare all’Astori che è un grande
negozio di ferramenta e aveva anche una fabbrica dove costruivano gabbie per i
polli e altre cose e lì sono stato dai primi del ‘59 fino a quando sono tornato
dal servizio militare nel ’63. Ho sempre lavorato in modo regolare.
Quando sono tornato dal
servizio militare l’azienda ha avuto dei problemi. Alcuni capannoni dove si
costruivano le gabbie sono crollati e così mi sono trovato senza lavoro. Era
fine settembre, ma ai primi di gennaio ho trovato posto alla Leonessa. Si
facevano “ralle”, gli sterzi per rimorchi, balestre per macchine agricole. Lì
sono rimasto dal gennaio ‘65 a fine ‘69. Lavoravo come saldatore, ma ho fatto
anche il magazziniere e altro. Poi l’azienda è entrata in crisi, avevo paura di
rimanere di nuovo disoccupato, e così sono andato a lavorare in un
calzaturificio molto grosso, la “Bover Gomma” con circa mille dipendenti in tre
sedi. Pensavo di andare finalmente in un posto sicuro, ma dopo un po’ anche
questa è entrata in crisi. In quella fabbrica ho fatto diversi mestieri e sono
stato eletto delegato sindacale.
L’azienda ha vissuto una
prima crisi nel ‘73, con cassa integrazione speciale. Nello stabilimento di
Carpenedolo eravamo in circa seicento e siamo rimasti poco più di duecento, ma
non ci sono stati licenziamenti. Nel 1974 ha cambiato gestione e l’azienda si è
ripresa, in un primo momento un po’ tentennante poi con maggiore decisione. Aveva
ordinativi per scarpe militari per la libera uscita di Polizia ed esercito, ma
all’inizio del 1980 è sopraggiunto un nuovo periodo di crisi e a fine gennaio
‘81 ha chiuso. Così ho dovuto rimettermi a cercare un nuovo lavoro. Sono andato
alla Sima dove si facevano i telai per le autobettoniere. Sembrava che tutto
funzionasse alla perfezione, che ci fosse lavoro in gran quantità, ma nell’83
ci fu una prima crisi con cassa integrazione, da allora la situazione si è
trascina ancora per qualche tempo, ma a metà ‘84 anche la Sima chiuse.
Sono rimasto disoccupato per
qualche mese, quando finalmente il 2 gennaio dell’85 sono entrato alla Feralpi.
E lì sono rimasto fino alla pensione, a fine marzo 1996.
Feralpi è un’azienda a
gestione familiare che produce tondino per costruzioni. Ci lavoravano circa
cinquecento persone. In Feralpi ho lavorato per sei mesi al forno e poi sono
andato alle siviere nell’area delle colate, facendo sempre i turni di notte.
Quando passavo da un’azienda
all’altra mi chiedevano: hai fatto il delegato? Si, allora fallo tu anche qui.
Il primo incontro con il sindacato avviene nel ’62, poco prima di andare
militare, all’Astori. C’erano già persone sindacalizzate ed era stata
organizzata una riunione con un sindacalista della Cgil e così ho fatto la mia
prima tessera sindacale con la Fiom.
Mi sono iscritto di nuovo al
sindacato dei tessili, questa volta alla Cisl, alla Bover Gomma. Lì sono stato
eletto delegato e ho iniziato anche a dare una mano fuori dalla fabbrica. Sono
stato più volte a Roma per chiedere la firma della cassa integrazione. Ero un
po’ il leader del cdf.
Così quando sono entrato in
Feralpi c’erano dei delegati dei metalmeccanici che mi conoscevano e mi hanno
subito inserito. Sono entrato anche nel direttivo provinciale della Fim.
Nell’ultimo periodo in azienda ho fatto anche un po’ di patronato.
In Feralpi non si facevano
grandi battaglie. Nei contratti aziendali si riusciva ad ottenere buoni
risultati senza grandi scontri e anche per i contratti nazionali abbiamo
firmato dei precontratti. Si facevano tutti gli scioperi nazionali, ma per le
vertenze aziendali si è fatto solo qualche sciopero per iniziare la trattativa,
ma non ne abbiamo mai fatti molti. Però la contrattazione si faceva sempre. A
volte il fatto di raggiungere dei buoni risultati senza grandi scioperi
lasciava qualcuno scontento: se ci hanno dato quello che abbiamo chiesto così
presto vuol dire che si poteva chiedere di più.
C’era un po’ di scontro tra
noi e la Cgil perché loro volevano sempre fare delle sparate, proporre
scioperi, ma quando i lavoratori vedevano che si potevano ottenere dei buoni
risultati senza scioperare lo preferivano.
Ho partecipato a diversi
incontri nazionali con altre categorie o con i metalmeccanici di altri
territori e ho visto che la Fiom di Brescia ha sempre avuto toni sempre più
accesi, più esasperati che altrove. Quando sono entrato i Feralpi la
maggioranza, allo scioglimento della Flm, era Fiom. Il tesseramento Fim poi è
cresciuto e siamo diventati noi la prima organizzazione. C’era in fabbrica un
bravo delegato della Fiom con cui si ragionava, si collaborava e siamo sempre
riusciti a stare insieme.
Per dialogare con i
lavoratori si usava l’assemblea dove si discutevano le richieste da avanzare e
le piattaforme.
Sono sposato con tre figli,
due femmine e un maschio. La moglie non è che fosse proprio contenta del mio
impegno, soprattutto quando si andava a Roma e si doveva stare fuori casa, ma
non mi ha mai detto: non devi farlo.
Ero un attivista delle Acli,
sono stato anche nel Consiglio provinciale e ho partecipato ai corsi di
formazione. Frequentavo anche l’Azione cattolica. Nel ‘68 mi sono iscritto alla
Dc e ci sono sempre stato fino ad oggi che sono nella Margherita. Ho fatto
parte della sinistra del partito, con Landi. I primi tempi Acli, Dc e Cisl
erano affini. Poi c’è stato l’intervento del papa sulle Acli, ma io sono
rimasto nell’associazione, anzi è stato quando ho fatto il consigliere
provinciale. Sono stato candidato due volte alle elezioni comunali ma non sono
mai stato eletto.
Ero in periferia, sentivo
quello che succedeva, ma non ho mai partecipato direttamente agli scontri
interni alla Cisl.
Piazza della Loggia è
accaduta pochi giorni dopo che avevamo ripreso l’attività alla Bover Gomma dopo
un primo periodo di crisi. In occasione dello sciopero di maggio la direzione
ci aveva chiesto di lavorare di pomeriggio invece che al mattino perché doveva
fare delle consegne. Noi abbiamo accettato perché ci sentivamo impegnati a
sostenere l’azienda, certo non potevamo sapere che cosa sarebbe accaduto. Verso
le undici è arrivata una telefonata. Il direttore ha chiamato un delegato
dicendogli che a Brescia avevano fatto a botte ed era intervenuta la Polizia.
Solo verso mezzogiorno ci siamo resi conto di quello che era successo. A quel
punto siamo partiti tutti per Brescia.
Quello è stato un periodo
difficile. In occasione delle commemorazioni e per diversi giorni si doveva
fare picchettaggio e io sono andato in piazza diverse volte. Per almeno un
anno, in occasione degli scioperi o di manifestazioni, si facevano cordoni, più
volte si è rischiato di fare a botte con gli extraparlamentari, gli studenti.
C’erano donne di Lotta continua che veniva a graffiarci la faccia. Qualche
bastonata sulla testa alcuni delegati se la sono presa. Ma noi dovevamo fare
servizio d’ordine perché se lo avesse fatto la Polizia ci sarebbero stati
scontri ben più duri. Poi piano piano la situazione si è tranquillizzata.
In azienda tutte queste
vicende erano vissute in modo distaccato dai lavoratori, non erano molto
politicizzati come i metalmeccanici, erano situazioni che coinvolgevano più
direttamente i delegati.
Anche alcuni delegati non si
impegnavano fuori dall’azienda. In occasione degli scioperi non partecipavano
alle manifestazioni, ma se ne stavano a casa. Una volta sono riuscito a
convincere un gruppetto di delegati e operai ad andare in manifestazione. Eravamo in Piazza della
Loggia quando è arrivato un gruppetto di extraparlamentari e ha iniziato ad
urlare e quelli se ne sono andati immediatamente: io qui non ci vengo più.
In Feralpi c’erano alcuni
operai di estrema sinistra, ma hanno sempre avuto un comportamento chiaro,
agivano con rispetto delle persone e non ci sono stati problemi di nessun
genere.
Ho fatto in tempo a vedere i
primi extracomunitari in azienda. Abbiamo avuto problemi solo con un albanese,
che non capiva che se uno si sottraeva al lavoro, questo ricadeva sugli altri.
Lo abbiamo preso in disparte e glielo abbiamo fatto capire. Arrivavano che non
avevano niente e come consiglio di fabbrica, ma anche individualmente, abbiamo
organizzato raccolte di scarpe e vestiti per loro. Qualcuno era stato sistemato
a Desenzano in un istituto. Alcuni hanno lasciato la fabbrica perché non
resistevano, non essendo abituati ai ritmi e all’organizzazione della
produzione, ma i più si sono integrati.
Adesso sono impegnato nella
zona della Fnp e vado a fare un po’ di recapiti per il patronato.
Mia moglie lavora ancora,
abbiamo tredici anni di differenza.